Corso Salani: ai confini del cinema italiano

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Di Enrico Fop 29 agosto 2013 su verificaincerta.it

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Corso Salani è stato un cineasta indipendente tra i più intrepidi e singolari del cinema italiano dell’ultimo ventennio. Prematuramente scomparso nel 2010 a soli quarantotto anni, ha realizzato nel corso della sua carriera un cinema estremamente personale, restando volutamente al di fuori dal circuito industriale e rifiutando qualsiasi forma di compromesso. Se oggi ne parliamo è sopratutto perché, pur nel suo totale isolamento produttivo, il suo talento ha lasciato un prezioso contributo artistico ai cineasti del presente, una importante lezione di cinema – e di vita – che è bene non dimenticare.

La sua carriera da regista è cominciata nel 1989, quando gira il suo primo film intitolato Voci d’Europa; in seguito ha sostenuto alcune prove attoriali di un certo rilievo lavorando, tra gli altri, per Marco Risi in Muro di gomma (1992) e Cristina Comencini ne La fine è nota (1993). Nel 1996 invece ha diretto Gli occhi stanchi, uno dei suoi film più riusciti: trattasi di un mockumentary che narra il ritorno a casa di Ewa (interpretata dall’attrice teatrale Agnieszka Czekanska), prostituta polacca che durante il lungo viaggio in macchina racconta il suo tragico passato al regista Alberto (l’alter-ego cinematografico di Salani) e agli altri due componenti della troupe che la seguono nella sua impresa. Sono proprio la forza espressiva del racconto (tutto inventato) di Ewa e la interessante commistione tra realtà e finzione, a fare dell’opera un momento di svolta per l’autore e allo stesso tempo, come sostiene Pierpaolo Loffreda, «uno dei film italiani più interessanti degli anni novanta»1.

Le opere sucessive di Salani, da Cono sur (1999) fino a Mirna (2009), passando per la splendida serie Confini d’Europa (2007) sviluppano i medesimi temi e riflessioni incominciate ne Gli occhi stanchi, compiendo un percorso evolutivo di notevole rilievo. La filmografia del regista infatti, se presa nel suo insieme è uno straordinario discorso sul mezzo cinematografico, in grado di indicare una possibile nuova direzione al cinema italiano indipendente.

Dei numerosi spunti di riflessione offerti dalla sua produzione, tenteremo di sviscerarne almeno un paio, non certo per fornirne una panoramica esaustiva, ma piuttosto con l’intento di incuriosire il lettore, nella speranza che venga invogliato a recuperare qualche suo lavoro.

Una delle inquadrature finali de Gli occhi stanchi (1996)

Una delle inquadrature finali de Gli occhi stanchi (1996)

Confini

Uno dei temi cardine del cinema di Corso Salani è il viaggio, inteso come esplorazione ai margini del mondo ma come vedremo non solo. I suoi film infatti, mettono spesso al centro della narrazione una trasferta, un movimento migratorio di cui solitamente i personaggi non ne conoscono la destinazione o l’esito. È un cinema fatto di nonluoghi, dove la maggior parte delle location sono zone di passaggio, posti come autostrade, fast food, autogrill,stazioni di benzina, attraverso i quali Salani vuole disorientare lo spettatore e nel contempo perdersi egli stesso. L’intento è sempre quello di esplorare, travalicare confini che sono sì quelli geografici, ma anche affettivi (quelli che intercorrono tra lui e le sue attrici) e infine cinematografici. Ciò che capita nei suoi film è che da individuo, Salani (o il suo personaggio alter-ego Alberto) esplora luoghi lontani, ai confini del mondo, da regista invece si spinge ai confini del mezzo, tentando strade e soluzioni stilistiche inedite, travalicando generi e convenzioni rimaste inviolate.

La sua voglia di totale libertà e il suo carattere da convinto apolide hanno rappresentato sì il punto di forza del suo cinema, ma anche la sua maggiore debolezza: se da una parte egli ha raggiunto l’agognata “indipendenza” (con tutte le accezioni che il termine si porta appresso) è proprio questa che lo ha condannato ad una condizione di solitudine professionale. Un’emarginazione, la sua, produttiva e distributiva (nessuno dei i suoi film ha mai visto la “sala”, se non attraverso festival e rassegne) a cui è solitamente destinato chi, nel nostro paese, intraprende nuove vie in campo artistico, tentando, come si suol dire, di “cambiare le cose”.

Cinema del reale?

Se nel paragrafo precedente si è già parlato di confini geografici, tratteremo più nello specifico quello che separa il reale dal finzionale, nonché il genere documentario da quello della fiction, altro elemento chiave per comprendere la produzione artistica del regista.

ciao corsoEgli ha sempre valicato il documentario ibridandolo con la finzione: il vincolo narrativo dei suoi lavori è l’incontro, o il confronto se vogliamo, tra Alberto e le diverse attrici, la maniera con cui egli decide di filmarlo chiama in causa le due identità cinematografiche, disgregandone le distinzioni. Il suo metodo è molto semplice eppure estremamente innovativo: come nota Fabrizio Grosoli, tutti i suoi film, in partenza sono opere “scritte”, «ma una volta arrivati sul luogo, nella fase della ricerca delle location – “set” – riprese (questi termini tendono nel cinema di Salani ad assimilarsi), la realtà prende il sopravvento e travolge la fragile struttura del testo precostituito»2. Il reale che interessa all’autore, continua Grosoli, «è “quel” reale che lui stesso ha in qualche modo provocato, reso filmabile, anche in modo incongruo, scoperto attraverso la simbolica mediazione di quel corpo femminile»3.

Per farla breve, possiamo constatare come tale modalità di trattare la materia del reale sia finalizzata, ancora una volta, a disorientare lo spettatore, a confonderlo attraverso la difficile distinzione tra “verità finta” (come François Jost chiama la semplice registrazione del reale) e la “finzione” dichiarata. Proprio in questo consiste la vera rivoluzione messa in atto da Salani: il provocare lo spaesamento nello spettatore, privarlo di alcune sicurezze significa sopratutto costringerlo a risvegliarsi dal torpore del quale da anni è vittima grazie alla fruizione televisiva. La visione passiva, assai deleteria, promossa dal mezzo televisivo va combattuta attraverso un cinema che cambi l’atteggiamento del suo pubblico, considerandolo parte attiva della visione. In questo Corso Salani si rivela come una sorta di profeta, che prima di altri ha saputo comprendere l’importanza di una onesta educazione all’immagine, dalla quale siamo convinti dipenda il futuro dell’audiovisivo in Italia.

Filmografia consigliata:

  • Gli occhi stanchi (1996)

  • Cono sur (1999)

  • Palabras (2004)

  • Confini d’Europa (2007), serie di sei lungometraggi di un ora circa: Ceuta e Gibilterra (2006), Rio de Onor (2006), Imatra (2007), Talsi (2007), Chişinau (2007), Yotvata (2007),

Per maggiori informazioni rimandiamo al sito internet della Associazione Corso Salani www.corsosalani.it

Omaggi:

Oriente: http://vimeo.com/32618393#at=0

Cortometraggio di Gianluca e Massimiliano De Serio dedicato a Corso Salani.

1PIERPAOLO LOFFREDA,Uno sguardo discreto: Gli occhi stanchi, in Alberto Morsiani (a cura), South by Southwest. Il cinema di Corso Salani, Milano, Il Castoro, 2008, p. 43.

2FABRIZIO GROSOLI, Confini, in Alberto Morsiani (a cura), South by Southwest. Il cinema di Corso Salani, cit., p. 71.

3Ibidem

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