"Il vero panorama che cerco di catturare sono i sentimenti dei personaggi"

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Il regista fiorentino a ridosso dell'uscita di "Palabras" parla dell'intreccio tra film e vita, dell'uso vicendevole che si coagula nella sua opera incentrata sul "sentire" il mondo. Viaggio nella bio/filmografia di una figura unica del cinema contemporaneo che da Firenze arriva al Cile

Perché intitolare "parole" il tuo primo film in cui la memoria emerge anche attraverso le immagini e non solo dal racconto orale come in Gli occhi stanchi o Corrispondenze private?


In effetti è il primo film in cui si vede quello di cui si parla; finora avevo fatto tutti film in cui la memoria aveva uno spazio solo come pensiero, come ricordo.

Comunque considero Palabras non un film di flashback ma un unico presente, o meglio un passato e un presente vissuti in modo talmente intenso e forte da diventare un unico presente.

Il titolo l'ho scelto perché Palabras è abbastanza secco e comunque riprende l'ultima parola del film, quando Adela dice "di tutto quel periodo sono rimasti soltanto ricordi e queste parole" che a me sembra un po' una frase simbolo di tutta l'opera.


Massimo Causo e Grazia Paganelli hanno parlato di Corrispondenze private come di un'opera che, richiamando tutti i film precedenti, potesse diventare una sorta di spartiacque, punto di arrivo e (ri)partenza nella tua filmografia... Dopo Palabras questo non appare evidente, al di là della presenza in entrambi di Paloma Calle, sembra ci siano vari punti in comune tra i due lavori.


Ma io ho anche difficoltà a considerare film Corrispondenze private. E' proprio una cosa che avevo fatto, a parte perché ne avevo voglia, perché l'attesa di girare Palabras, che era già scritto, si stava prolungando e non ce la facevo più. Avevo delle scene che volevo filmare diciamo che ho trovato con Corrispondenze l'escamotage per farlo con Paloma che nel frattempo era stata scelta per interpretarlo. Però credo che mi è servito un po' per rimettere in ordine e anche rivivere o riappropriarmi di tante cose dei film precedenti. Non so se poi è servito per affrontare Palabras, ma sicuramente è stato utile per lavorare con Paloma con cui non ci conoscevamo; diciamo che è stata una prova generale in cui ho utilizzato tutto ciò che avevo già filmato e addirittura parte di ciò che avrei filmato in Palabras. Però Corrispondenze non è un film e non è un documentario, in realtà veramente era un omaggio ad una persona che a un certo punto mi sono reso conto ispira tutti i miei film.


Dopo che in "Corrispondenze" questa sorta di "musa" in/consapevole ci/ti si è svelata, la sua "presenza" appare ora evidente in tutti i tuoi film che avevo visto e anche in Palabras...


Diciamo che alcune volte per il personaggio femminile, che ormai nel mio cinema è diventato sempre protagonista, accade di prendere piccoli gesti, piccole abitudini, frammenti di vite che osservi o che vedi, per rendere il film più credibile e reale, il più vivo possibile. Allora Corrispondenze era una sorta di ringraziamento a tutte le persone che mi hanno lasciato qualcosa ma in particolare a quella che alla fine ha ispirato tutti i miei personaggi femminili, e per Palabras questa influenza mi è sembrata ancora più forte.

Credo sia necessario avere presente dei punti di riferimento da cui attingere, anche se così...non necessariamente in modo realistico: non è la vita di nessuno né tantomeno una biografia, ma attingere al carattere o alla vita delle persone, non necessariamente di una persona particolare, penso sia necessario per ridarli ai personaggi e renderli credibili.


Tu sei una persona che ha viaggiato e continua a viaggiare molto e ogni tuo film si lega ad un non-luogo diverso. Guardando questa "radicale contiguità tra cinema e esistenza" , si può dire che per te le esperienze del filmare e viaggiare si assomiglino e forse c'è dietro un guardare alla vita stessa come a un viaggio, di cui tu ogni volta dilati le dimensioni "sentimentali" del lasciare/lasciarsi e del ricordo?


E' un meccanismo un po' complesso ma credo che io attraverso i film riesca a separarmi dal film precedente e attraverso i viaggi dai viaggi precedenti, dalle persone conosciute, dai luoghi e dagli incontri... In effetti ogni volta che un film o un viaggio finiscono mi è veramente difficile staccarmi da tutto questo, tant'è che a volte è capitato che mi sia fermato in un posto molto più a lungo perché non riuscivo a venir via. Ed è un po' quello di cui parla Adela in Palabras, perché è vero che lei ricorda un viaggio sulle Ande vissuto un anno prima ma ricorda soprattutto un periodo talmente intenso, fatto di incontri e amicizie, che poi si sono dissolti una volta tornati a Santiago.

Sono questi incontri di posti e situazioni che uno vive in viaggio, e che forse hanno importanza solo perché uno li vive in viaggio, a rimanere come nostalgia. Ecco, forse fare film è un modo per riviverli.


E per quanto riguarda il legame tra lasciare e ricordare?


La separazione, il distacco, è terribile. Veramente a volte, anzi sempre, i film contengono i distacchi dai film precedenti, certo rimessi a posto, riscritti e rivissuti, ma sono proprio questi lo spunto per farli. Forse perché nel viaggiare io personalmente cerco di mimetizzarmi, nascondermi nel posto in cui vado; non è un viaggiare per vedere ma per vivere in modo differente, allora la separazione, che è ciò che rende il viaggio interessante altrimenti sarebbe emigrazione definitiva, è quel trauma che il ricordo, quando è continuo come per Adela in Palabras, riesci a sopportare.

In questo calarsi completamente nell'ambiente circostante che traspare dai tuoi film, caratterizzati da lunghi camera-car o, in Palabras, da personaggi sovrastati da un paesaggio che li ingloba, come ti rapporti da regista con l'impossibilità del cinema di ridarti l'aspetto e le sensazioni di un ambiente, il suo essere sempre non-luogo?


Ma in realtà io scelgo gli ambienti per i sentimenti e l'impatto che provocano a me e penso possano provocare ai personaggi. Ora, può destare curiosità il fatto che in Palabras ci troviamo sulle Ande, ma non sono mai luoghi scelti per la loro bellezza o significato nel film, per me sono sfondi si cui avvengono le storie e vengono vissuti i sentimenti.

Il vero panorama che cerco di catturare sono i sentimenti dei personaggi, all'ambiente provo ad avvicinarmi il più possibile con l'occhio di chi non lo vuole filmare ma lo vuole intorno. A volte è capitato che persone dei paesi in cui ho filmato hanno trovato un punto di vista che poteva essere il loro e per me questo è un complimento perché vuol dire che effettivamente riprendi cercando l'anima e nient'altro. Anche nel caso del Cile si potrebbe dire che sono andato fin lì per fare un film di primi piani ma in realtà non avrei potuto fare altrimenti perché Paloma è il Cile; allora, che si prenda quello che serve dall'ambiente senza doverlo per forza mostrare.


Si può dire che nei tuoi film, in tutti, ma soprattutto in quelli che hanno comunque un percorso produttivo, per quanto piccolo, normale, tutto sia apparecchiato per fare emergere i sentimenti, che sono i veri protagonisti delle tue opere. Quasi che tutto sia reso una leva piegata al servizio di questo...


Sicuramente. Il film in genere prende lo spunto da un personaggio e da un luogo, che non è uno sfondo ma un luogo dove mi piacerebbe fermarmi un po' e filmare. Quindi il Cile di Palabras è prima di tutto il luogo che mi ha dato l'ispirazione attraverso l'idea di abitarlo per un periodo, occuparmi per sei mesi di tre ragazze cilene che parlano tra loro. In realtà lavorando con produzioni molto scarne non è che crea problemi girare in un luogo piuttosto che un altro e anche da un punto di vista economico non è che i costi sono maggiorati. Anche per questo amo lavorare con produzioni indipendenti che mi permettono di sganciarmi da luoghi e meccanismi che caratterizzano la maggior parte dei film.


Se il tuo ruolo dietro la telecamera è quello di apparecchiare meccanismi che permettano la fuoriuscita dei sentimenti si può dire che anche nella tua parte davanti all'obiettivo svolgi lo stesso ruolo. Per meglio dire, in questo lasciare sempre più spazio ad una figura femminile che film dopo film diventa personaggio principale, e in questo Palabras rappresenta un vetta, sembra che i personaggi che interpreti siano sempre più, al pari dell'ambiente, nient'altro che leve con cui scoperchiare l'interiorità della protagonista.


Questa è una cosa venuta col tempo. Prima stavo molto più attento a quello che doveva essere il mio ruolo nell'opera e sicuramente avevo più spazio e importanza, mentre adesso il mio personaggio diventa sempre più uno strumento per allargare il mio occhio sul personaggio protagonista che non mi interessa più essere io ma lascio che il cuore del film sia la protagonista femminile a cui dedico molta più attenzione, ma senza nessun sacrificio.

Per me è diventato sempre più intenso il fare un film, un pezzo di vita anche se può suonare un po' retorico. Non mi pesano i problemi organizzativi: essere in pochi, investire personalmente anche soldi che non ho...è proprio una vita necessaria di cui non posso fare a meno. Per me è talmente intensa l'esperienza del fare un film che non mi interessa neanche lamentarmi della produzione o della distribuzione; la cosa più importante è vivere l'esperienza, quello che ne viene in termini di spettatori non dico è un di più ma una conquista. Quindi a me non costa nulla perdere spazio in scena, anzi penso che andrò a scomparire strada facendo pur di lasciare che tutto faccia trasparire l'umanità della protagonista.

Soffermiamoci sulla dimensione privata, intima, del tuo fare cinema. Come mai hai scelto il film come linguaggio per veicolare sentimenti e ricordi e non un'arte che non ha bisogno di tutti questi mezzi, come la scrittura ad esempio... E alla luce di questa scelta qual è il tuo rapporto con la "pubblicazione"?


Intanto i miei film, tranne uno forse, non nascono da una situazione autobiografica ma molte volte sono frutto di varie situazioni di vita, anche disparate, che lego insieme. Spesso nascono anche da diari, come nel caso di Palabras che è nato da un diario di Adela, quindi da una storia non vissuta in prima persona da me; però una volta di fronte allo scritto sento comunque il bisogno dell'immagine che dia una presenza maggiore ai ricordi miei o di altri. L'immagine oltre a far rivivere altre immagini già vissute e che altrimenti andrebbero perse o si sfumerebbero, le ferma. Poi, fatto il film, c'è il desiderio che venga visto, non che abbia successo; e mi sembra che ci sia un numero di persone, sempre più devo dire, che si ritrovano nella storia del personaggio per rivivere qualcosa che hanno vissuto personalmente. A volte può capitare che qualcuno si affezioni ai personaggi tanto da sentirle persone, quando ciò accade per me il film ha avuto un senso.


Nonostante la dimensione che tu vuoi far uscire sia principalmente interiore, in molti dei tuoi film, da Occidente, a Gli occhi stanchi come in Palabras, c'è una situazione che potremmo definire "politica", in quest'ultimo caso la costruzione di una diga, che rimane a sua volta sullo sfondo ma interagisce con la storia e spesso costituisce uno dei moventi che porta all'incontro/scontro tra i personaggi... Che significato dai a questo aspetto, che oltretutto in un paese come l'Italia, con particolari sensibilità spettacolari in questo senso, potresti sfruttare in funzione di ritorno commerciale...

Non saprei affrontare direttamente questi aspetti più politici delle situazioni, ma in realtà mi rendo conto che nei film, sempre sullo sfondo anche se uno sfondo protagonista, ci sono queste situazioni che potremmo definire politiche.

Credo sia anche questo un modo per avere uno sfondo reale, perché è sempre reale la situazione che si profila, senza dargli a tutti i costi uno spazio da protagonista. Anche in Palabras ci sono i quattro che fanno uno il geologo, uno l'ingegnere eccetera, chi è contro la diga e chi è là per costruirla, però non hanno nessun integralismo, nessuna presa di posizione straordinariamente forte forse... E' gente che fa il proprio mestiere e cerca di fare con impegno ciò per cui sono pagati, perché penso che molte persone siano così: non c'è solo un ultrà dell'ambientalismo e un ultrà del cemento. Penso appunto che questo sia un modo per rimanere quanto più vicini alla realtà: un'ambientalista innamorata è un personaggio possibile spero, così come un ingegnere che lavora alla costruzione di una diga e si innamora di chi vorrebbe impedire quella costruzione. L'aspetto politico è presente ma mi sentirei a disagio ad usarlo per avere dieci spettatori in più.

Quindi nel tuo cinema i sentimenti che si sviluppano tra le persone inglobano e prevalgono su tutto il circostante, compresa la situazione ideologica e politica. In Palabras Alberto dimentica la sua dimensione lavorativa e Adela quella ideologica che sembra caratterizzarli all'inizio.


Credo che i sentimenti, nonostante spesso venga fatto di tutto per negarlo, abbiano un peso, una forza e un'importanza che indirizzano tutto il resto. Io non trovo contraddittorio che i due si innamorino, stiano insieme etc. C'è un limite oltre il quale i sentimenti vincono su tutto, senza che per questo i personaggi diventino negativi. In Palabras soprattutto Adela si lascia vincere da questo amore ma non per questo perde credibilità nelle sue posizioni verso la diga.

Mi ha sempre un po' colpito, ad esempio, che Occidente, che per me era proprio un film su un personaggio, nemmeno una storia, ma un film su Malvina, avendo quello sfondo così preciso ha fatto si che in Friuli suscitasse poche simpatie tra le persone, perché in qualche modo si riconoscevano nelle zone, nei personaggi, nei luoghi che avevamo filmato. Veramente è questione di andare nei posti, lasciarsi incantare e prendere da qualsiasi aspetto, anche quelli non belli, per poi poterli inserire nel film senza che abbiano un peso troppo presente.


Nei tuoi film ci sono sempre personaggi stranieri che li rendono multietnici e quindi multilingue. Dai qualche significato a questa cosa, qual è il tuo rapporto con gli idiomi visto che parli anche spagnolo, hai abitato a Varsavia e avuto varie esperienze all'estero.


Sull'uso di più lingue ci ho pensato ma ancora non mi sono riuscito a dare una risposta chiara. E' sempre tutto guidato dai personaggi; allora, venendomi facile creare personaggi stranieri mi sembra naturale farli parlare nella propria lingua e poi quando questi si incontrano con persone di altri paesi avviene come in Occidente che c'era il friulano, l'inglese, il rumeno; come in Palabras ci sono spagnolo e italiano. Sono storie che nascono per più lingue perché i personaggi nascono in posti diversi e in più mi piace molto occuparmi di personaggi stranieri perché credo sia un po' limitativo occuparsi di italiani per il fatto di esser nati in Italia. Credo sia necessario occuparsi di ciò che avviene un po' più in là e il cinema, con la scrittura, un'occasione ideale per andare a vedere cosa avviene altrove. Inoltre, facendo film come i miei, in cui l'unico imperativo che ho è di farlo come lo desidero, non mi faccio nessun problema per il fatto che poi usciranno sottotitolati.


Nonostante il concetto di non-luogo, di cui Occidente è uno degli esempi più forti degli ultimi anni, attraversi tutta la tua opera, ogni personaggio marca la sua provenienza attraverso la lingua. Il legame tra personaggi, lingue e luoghi visibili o soltanto "sentiti" è fondamentale per la storia ma anche "determinante" da un punto di vista geografico.


Assolutamente. In realtà la storia del film dipende sempre anche dai paesi che vediamo o di cui sentiamo parlare. La vicenda di Malvina di Occidente non poteva essere se non rumena; e non solo perché ha partecipato ad una rivoluzione che c'è stata solo lì ma anche per lo spirito, o almeno quello che io penso possa essere lo spirito, di una ragazza che viene da fuori per vivere ad Aviano.

In Palabras, quindi in Cile, si mostrano tre ragazze che passano un fine settimana a parlare e credo che in pochi altri posti se non in America latina ciò possa avvenire, perché in sud America c'è proprio il gusto dell'incontrarsi e parlare. Quindi il legame tra personaggi, lingua e abitudini dei posti che si forma naturalmente è determinante per l'andamento della storia.

Ad esempio, leggendo l'articolo su Palabras uscito su Il Manifesto ho avuto modo di scoprire una cosa a cui io non avevo fatto caso e che invece ha notato la Silvestri: nel film viene fuori proprio attraverso il linguaggio e i modi di fare delle ragazze la loro appartenenza alle classi agiate cilene. Questa è una cosa che non è stata pensata ma è segno che mimetizzarsi in un luogo e rubarne il più possibile lo spirito, così come lasciando ai personaggi i modi per esprimere la propria lingua e le proprie abitudini, funziona molto bene in senso descrittivo e conoscitivo. Quindi la lingua è un elemento caratterizzante molto forte, anche quando manca, come in Occidente: quel silenzio portato quasi all'estremo appartiene solo a posti come Aviano, in cui non si sa dove siamo né chi c'è; la gente vive blindata nelle case o nelle basi senza parlarsi.


Un'ultima cosa: tu sei cresciuto nella Firenze di inizi anni '80 che credo sia stato il periodo più vivo vissuto dalla città nel dopoguerra, almeno per quanto riguarda la cultura pop. Tra i tuoi primi lavori ci sono video dei Litfiba "preistorici" (precedenti al primo LP ufficiale Desaparecido) e sembra che con gruppi come i Litfiba appunto o i Diaframma hai in comune questa volontà d'evasione dalla realtà fiorentina che si evidenziava già in titoli come Siberia, Eneide di Kripton e in seguito da lavori pervasi da altri idiomi o frutto di esperienze di viaggio (Desaparecido appunto, 3, lo stesso El Diablo, nonostante ci troviamo già in un'altra fase, più pop, del gruppo). Quanto ha influito ed è rimasto in te di quelle esperienze, che in questo momento sembri l'unico che per certi versi le porta avanti.


Di quel periodo, nonostante ci si conosceva tutti, credo che più delle influenze reciproche o dei tratti comuni tra persone e progetti diversi, rimane il fatto che per la prima volta a Firenze si poteva considerare lavori tutto sommato raggiungibili fare l'attore, il cantante e via dicendo. Credere veramente che fosse possibile vivere in modo diverso, svolgendo queste attività e pensandole come lavoro e non per far colpo sulle ragazze era una novità assoluta per una città come Firenze.

Penso che Firenze sia un posto assolutamente dannoso perché è bombardato da questa considerazione mondiale ma resta assolutamente chiuso a coloro che ci vivono e certo quei lavori e quei titoli mostravano la volontà di uscire da questa impasse che per me caratterizza la città. Forse di buono quel posto ci ha dato proprio la voglia di andare via e andare a cercare altrove e questa credo che sia una caratteristica che ci ha accomunato, anche se poi ci sentivamo spaesati appena varcavamo i confini soliti. Proprio questo senso di spaesamento e il rapporto con la città fatto di legami forti e volontà di evasione ha caratterizzato quegli anni, che rimane effettivamente l'unico momento veramente vivo vissuto dai giovani di Firenze negli ultimi decenni.

 

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